Vincenzo Di Marco
The reprint of Sergio Cotta’s essay “Perché la violenza? Una interpretazione filosofica" can make an important contribution to the recent literature on violence. We live in a society that powerfully foments violence in political speeches, in media communications, like broadcasting or network, and also in our relations with others. But, in this essay, the author tries to focus his attention on political violence from a philosophical, historical and juridical point of view. In the 1970s Italian public debate condemned the dramatic spread of domestic terrorism and the ideology that lies in political extremism. In this perspective, Sergio Cotta explores the deep historical roots of the revolutionary method, that employs expressions such as “revolutionary chiefs", “ideologists of populism" and “subversive persons by trade". The “fake theorists" of dissent often confuse the concepts of “strength", “violence" and “law". This confusion is damaging. The defence of revolutionary violence angainst a “supposed" violence of the state might well lead to unpredictable results. The Author examines some of the most serious problems of our time and shows how the reasons of law must be saught in the authentic human being, in the recognition of the plurality of his interactions, in which democracy is a “defence of person" and not a mere expression of a tumultuous majority.
La ristampa del saggio di Sergio Cotta sul “perché della violenza" nella nostra società è oggi più che mai necessaria. Viviamo in una società che alimenta di continuo l’apologia della violenza, nel discorso politico, nelle relazioni umane, o nella comunicazione in tv e in rete. Ma l’interesse principale dell’Autore consiste nel valutare la violenza politica nei suoi riflessi filosofici, storici e giuridici. Nell’Italia degli anni Settanta del secolo scorso, in cui imperversava la violenza terroristica, si fa strada la critica alla ideologia del radicalismo politico. Figlio di “capi rivoluzionari", di “ideologi del populismo", di “sovversivi di professione", il metodo rivoluzionario ha radici storiche ben consolidate, che Cotta mette in grande risalto. Questi “falsi teorici" del dissenso confondono spesso i concetti di “forza", di “violenza" e di “diritto". Questa confusione è deleteria. La giustificazione della violenza rivoluzionaria contro la “presunta" violenza dello stato conduce spesso ad esiti imprevedibili. L’Autore ribadisce che le ragioni del diritto vanno ricercate nella condizione esistenziale dell’uomo, nel suo essere in relazione con gli altri, in cui la democrazia si presenta come “difesa del singolo" e non come pura espressione di maggioranze tumultuose.