Da tempo si discute se il paternalismo penale costituisca un principio di criminalizzazione compatibile con gli assunti di fondo del pensiero liberale. Nell'articolo si sostiene che, in realtá, esso non costituisce un autonomo principio di criminalizzazione.
Dopo aver distinto tra p. tutorio e p. dispotico, vi si mostra, innanzitutto, come il primo sia manifestazione del principio del danno. Anche il secondo, si sostiene, costituisce un finto avversario per il liberalismo: le incriminazioni che ne costituirebbero espressione o hanno un fondamento moralistico (e andrebbero perció 'combattute' come forme di moralismo giuridico) oppure sviluppano, anche esse, la stessa logica del principio del danno. In realtà, e proprio quest'ultimo a costituire, ai fini di una giusta criminalizzazione, un fondamento assai piú incerto di quanto non credano gli antipaternalisti. Vi si propone poi una critica del concetto di 'p. indiretto', e della visione - inadeguata - che esso presuppone dell'istituto del consenso dell'offeso. Se ne trae la conclusione che la gran parte dei problemi ricondotti al 'p. penale' andrebbero piú propriamente affrontati come parte della piú generale discussione sul cosiddetto 'diritto a sbagliare'.