The essay critically reconsiders the presumed notion of the so-called “commons”, ambiguous and harbinger of dangerous generalizations and distant from the unavoidable need to take into account the peculiarities of the goods, interests, and values concretely involved. On the contrary, despite recognizing the usefulness of the ancient categories of res in usu pubblico and of res communes omnium, the interpreter is invited to enhance the general clauses of the “function” and “social utility”, for a civil law based on human dignity, careful to reinterpret the categories of “having”, of which our dogmatic tradition is rich, in function of the category of “being”, typical of constitutional legality.
Il saggio rilegge criticamente la presunta nozione dei beni c.dd. «comuni», ambigua e foriera di generalizzazioni pericolose e distanti dall’imprescindibile necessità di tenere conto delle peculiarità del bene e degli interessi ed i valori concretamente coinvolti. Al contrario, pur riconoscendo l’utilità delle antiche categorie delle res in usu pubblico e delle res communes omnium, s’invita l’interprete a valorizzare maggiormente le clausole generali della «funzione» e dell’«utilità sociale», per un diritto civile fondato sulla dignità dell’uomo, attento a rileggere le categorie dell’«avere», delle quali è ricca la nostra tradizione dogmatica, in funzione della categoria dell’«essere», propria della legalità costituzionale.