The corporatist system, designed by Fascism in Italy, was meant to rationalise the national economy by making the dynamic moment of production absolutely central, in contrast with the static moment of taking ownership. The paper tries to track the diferent readings of this by legal scholarship. There emerge three interpretive strands in particular. First, there is the position of the so-called regime legal scholars: while their analyses differ, they seem to share some assumptions. They agreed that fascism's (and corporatism's) historical legitimacy was tied to a capacity for highlightning the outline of a new kind of state, namely the totalitarian state. Accordingly, private law and ownership itself were no longer pictured as moments of individual freedom and became a space of varying extension that state power was free to restrict. Second, there were the so-called legal scholars of tradition, who kept analysing ownership through traditional categories and totally rejected the idea of making individual rights function-oriented. Last, there was a minority of legal scholars believing that the notion of legal rights' social function should not be rejected. Rather, they saw a revision of the traditional will and powercentred conception of rights as the only way to avoid the total eviction of private law by the state.
L'ordinamiento corporativo, progettato in Italia dal fascismo, avrebbe dovuto costituire lo strumento capace di razionalizzare l'economia nazionale conferendo assoluta centralità al momento, dinamico, della produzione, rispetto a quello, statico, dell'appropriazione proprietaria. L'articolo tenta di ripercorrere le diverse letture che la scienza giuridica formulò in proposito; a emergere sono, in particolare, tre fronti interpretativi. In primo luogo è stata esaminata la posizione dei c.d. giuristi di regime: benché le loro analisi non siano identiche, tuttavia paiono convergere su alcuni assunti condivisi; furono infatti tutti concordi nel ritenere che la legitimità storica del fascismo (e del corporativismo) si legasse alla capacità di mettere a fuoco i contorni di un nuovo tipo di Stato, lo Stato totalitario; coerentemente, il diritto privato, e lo stesso diritto di proprietà, cessavano di essere rappresentati come momenti di tutela dell'individuo e dei suoi diritti, per diventare uno spazio a consistenza variabile, liberamente comprimible da parte del potere pubblico. In secondo luogo, è stato esaminato il fronte dei c.d. giuristi della tradizione, ovvero di quei giuristi che continuarono a lavorare sulla proprietà utilizzando le categorie tradizionali e rifiutando nettamente l'idea di una funzionalizzazione dei diritti soggettivi. Infine, è stato esaminato il fronte (minoritario) dei quei giuristi convinti che la funzione sociale del diritto soggettivo non fosse una nozione da respingere; al contrario si riteneva che la revisione della tradizionale concezione volontaristico-potestativa dei diritti rappresentasse l'unica strada per evitare la totale espropriazione del diritto privato da parte dello Stato.