Il presente articolo si propone di analizzare il fenomeno dell’accesso forzoso ai dispositivi elettronici alla luce del principio processual-penalistico che riconosce la libertà dall’autoincriminazione. In particolare, lo studio, valorizzando la veste processuale che può assumere il destinatario di una richiesta di collaborazione e il tipo di condotta lui domandata, esamina le forme e i limiti con cui il nemo tenetur potrebbe essere invocato nel corso di indagini svolte sugli electronic devices. Questa verifica viene condotta avendo ad oggetto l’ordinamento italiano, letto in controluce rispetto allo scenario sovranazionale e comparato. Peculiare attenzione è poi dedicata a distinguere la richiesta di una password alfanumerica dal ricorso alla matrice biometrica in funzione di chiave d’accesso al dispositivo, giacché trattasi di un discrimine in grado di incidere notevolmente sulla possibilità di avvalersi del diritto al silenzio
This article aims to analyse the phenomenon of forced access to electronic devices in the light of the criminal procedural principle that recognises the freedom from self-incrimination. In particular, the study, valuing the procedural role that the addressee of a request for collaboration may assume and the type of conduct requested of him, examines the forms and limits with which the nemo tenetur guarantee could be invoked during investigations carried out on electronic devices. This examination is conducted by focusing on the Italian legal system, read against the backdrop of the supranational and comparative scenario. Particular attention is then devoted to distinguishing the request for an alphanumeric password from the use of the biometric feature as an access key to the device, since this is a discriminating factor capable of significantly affecting the possibility of availing oneself of the right to silence.